ITALY
Codice Italia
Alis/Filliol,
Andrea Aquilanti,
Francesco Barocco,
Vanessa Beecroft,
Antonio Biasiucci,
Giuseppe Caccavale,
Paolo Gioli,
Jannis Kounellis,
Nino Longobardi,
Marzia Migliora,
Luca Monterastelli,
Mimmo Paladino,
Claudio Parmiggiani,
Nicola Samorì,
Aldo Tambellini
Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo -
Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane.
Commissioner: Federica Galloni.
Curator: Vincenzo Trione.
Venue: Padiglione Italia,
Tese delle Vergini at Arsenale
www.codiceitalia2015.com
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Codice Italia vuole riattraversare significative regioni dell’arte italiana di oggi, facendo affiorare alcune costanti: assonanze poco manifeste, corrispondenze inattese. Ripercorre rilevanti esperienze poetiche contemporanee, con l’intento di delineare i contorni di quello che, al di là di tante oscillazioni, rimane il fondamento del nostro "codice genetico" stilistico.
Pur seguendo strade differenti, molti artisti italiani del nostro tempo hanno proposto un’originale declinazione del concetto di avanguardia: per loro, essere d’avanguardia significa reinventare i media (per dirla con Rosalind Krauss) e, insieme, frequentare in maniera problematica materiali iconografici e culturali già esistenti. Pur se in sintonia con gli esiti più audaci della ricerca artistica internazionale, essi non aderiscono al nuovo come valore da idolatrare, né inseguono provocazioni. Ad accomunarli è la necessità di sottrarsi alla dittatura del presente, che è simile a una lavagna sulla quale una mano invisibile cancella senza posa avvenimenti sempre diversi. Coltivano in maniera più o meno intenzionale precise discendenze: i loro gesti racchiudono segreti rimandi alla storia dell’arte (dall’archeologia allo sperimentalismo novecentesco). Scelgono, perciò, di passeggiare tra le stanze di un passato che si insinua nell’attualità. Come un archivio di frammenti. Che si vogliono convocare. Qui. Ora.
Guidati dal bisogno di riaffermare il senso della continuità, questi artisti vogliono offrire un retroterra alle loro avventure linguistiche. Interrogano vestigia lontane, per dare maggiore forza al proprio timbro. Pur con accenti differenti, sapienti nel saldare canto e controcanto, riaffermano l’importanza di quella che potremmo definire the ecstasy of influence. Per loro, eseguire un’opera non è far nascere qualcosa dal niente, ma è strategia tesa a rimodulare cifre che sono state già create, fino a renderle irriconoscibili.
Animati dall’urgenza di guardare dietro di sé senza nostalgie, si richiamano alla memoria, intesa come arsenale di tracce da ri-abitare – e da reinterpretare. Territorio che tende a relegare il presente al rango di un rumore di fondo di cui non si può fare a meno. Scrigno da perlustrare – e tradire. Patrimonio decisivo. Infine, geografia dell’incertezza e della precarietà, che può alimentare domande ulteriori. Come una spirale, in cui si può liberamente andare avanti e indietro. Fare arte, per loro, significa porsi in ascolto di Mnemosyne. Che ci consente di appropriarci del divenire delle cose e, insieme, ci riconcilia con il loro scomparire.
Ad avvicinare queste voci è il bisogno di risituare proprio alcune figure della memoria. Le loro sono profanazioni: non innalzano la storia dell’arte sopra un piedistallo irraggiungibile, ma ne negano l’aura. Consacrano e sviliscono i modelli assunti. Smontano e rimontano episodi di altre epoche, per disporre le loro “rimembranze” all’interno di una discontinua trama. In bilico tra rispetto e trasgressione, elaborano discorsi aperti a sconfinamenti e a interruzioni, suggerendo una sintassi dominata da echi poco evidenti. In filigrana, le loro opere – affidate a diversi media – lasciano intravedere una complessa e articolata genealogia di rinvii. Si consegnano a noi, potremmo dire con Benjamin, come luoghi ibridi, “in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione”.
Ad avvicinare queste voci è il bisogno di risituare proprio alcune figure della memoria. Le loro sono profanazioni: non innalzano la storia dell’arte sopra un piedistallo irraggiungibile, ma ne negano l’aura. Consacrano e sviliscono i modelli assunti. Smontano e rimontano episodi di altre epoche, per disporre le loro “rimembranze” all’interno di una discontinua trama. In bilico tra rispetto e trasgressione, elaborano discorsi aperti a sconfinamenti e a interruzioni, suggerendo una sintassi dominata da echi poco evidenti. In filigrana, le loro opere – affidate a diversi media – lasciano intravedere una complessa e articolata genealogia di rinvii. Si consegnano a noi, potremmo dire con Benjamin, come luoghi ibridi, “in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione”.
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