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quarta-feira, 28 de agosto de 2013

LÊDO IVO - THE DREAM OF FISHES






THE DREAM OF FISHES


I cannot accept that dreams

are the privilege of human beings alone.

Fish also dream.

In the swampy pond, amongst miasmas

aspiring to the thickened dignity of life,

they dream with eyes always open.


Fish dream motionless, in the bliss

of fetid water. They aren’t like men, who toss

and turn in their unhappy beds. In truth,

fish are different from us, who have not yet learned to dream,

and we struggle, as if drowning, in turbid water

among hideous images and the bones of long-dead fish.


Beside the pond I ordered to be hollowed out,

making a troublesome dream of childhood come true,

I question the dark water. The tilapias hide

from my suspicious owner’s gaze

and refuse to teach me how I ought to dream.

quinta-feira, 14 de fevereiro de 2013

Lêdo Ivo em Italiano


FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 29
gennaio/marzo 2013
Velocità

UN VENTO FRESCO DEL MARE
In memoria di Lêdo Ivo



Lêdo Ivo nel suo studio
(foto di Claudio Maccherani)

O vento do mar [Il vento del mare] è l’ultimo libro di Lêdo Ivo pubblicato in Brasile, libro che l’autore mi ha gentilmente mandato, come i precedenti, e che non avevo ancora finito di leggere quando ho ricevuto la notizia della sua scomparsa il 23 dicembre 2012 a Siviglia, in Spagna, dove si era recato per uno dei molti incontri di poesia che lo vedevano impegnato, nonostante l’età avanzata, in diversi paesi. Riprendo in mano con tristezza il bel volume, dalla copertina blu come il mare della sua terra natale, e mi pare quasi di sentire fisicamente, condensate nelle sue parole sempre chiare e incisive, la presenza e la vivacità dell’amico, con il suo umorismo intelligente, la battuta pronta, la memoria formidabile, la sensibilità e la semplicità che caratterizzavano l’uomo e lo scrittore.
Vento do mar è un bellissimo libro, in una edizione pregiata e corredata da fotografie che lo ritraggono, insieme alla moglie Lêda e ai tanti amici, intellettuali e artisti, in giro per il mondo. Si tratta di un sunto denso e ricco del suo lungo percorso letterario e si presenta a mezza strada fra il libro di memorie e la biografia illustrata di un’intera generazione di scrittori brasiliani. È commovente l’onestà e la lucidità con la quale Lêdo ripercorre le fasi della sua vita e di quella del suo paese, il Brasile, tracciando il ritratto intimo di molti grandi personaggi, come Graciliano Ramos, Cornélio Pena, Agrippino Greco, Raquel de Queiroz, José Lins do Rego, Clarice Lispector, Manuel Bandeira. Leggendone le pagine, ci appare ancora più chiaro il senso della sua ricerca poetica ed esistenziale, la sua fame di verità, la sua discesa nelle profondità dell’io per svelarne anche le parte in ombra, la sua ricerca di giustizia, il suo amore per gli animali, il suo legame viscerale con il Nordest povero dei pazzi nei manicomi, dei morti di famiglia che non smettono di soffrire, delle navi abbandonate nel porto che non possono più sfidare gli oceani.
Nato nel 1924 a Maceiò, nella regione del Nordest brasiliano, Lêdo ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife ed è approdato a Rio de Janeiro nel 1943, con in valigia il sogno di diventare un grande scrittore. Così egli racconta uno dei primi incontri avuti nella Libreria José Olympiom, allora punto di ritrovo dell’intellettualità nazionale, con un poeta anziano, ormai deluso dalla letteratura (del quale omette, però, l’identità), che gli vaticina: «Non ci riuscirai, mio caro». Il ragazzo esce demoralizzato e, mentre vaga per le strade incendiate dal tramonto di una delle più belle città del Brasile, riflette su quelle parole amare e ruvide e sulle sue speranze, tramite la poesia, di dare senso alla propria vita:
De repente, vi-me caminhando pelas ruas, e o crepúsculo crescia sobre as pessoas e as fachadas das casas. Não era a glória, o aplauso, a fanfarra o que eu queria, dizia o meu coração ferido, numa réplica tardia (...). Era a afirmação de minha singularidade: desejava converter numa realidade estética um dom nativo ainda inexpressado e incomunicável. E contudo a voz experiente e desiludida viera alvejar-me com a sua descrença. Se a vida não confirmasse a minha escolha e não promulgasse a minha vocação, de que adiantaria viver?1
Improvvisamente, mi sono trovato a camminare per le strade e il crepuscolo cresceva sulle persone e le facciate delle case. Non era la gloria, l’applauso, le fanfare quello che io volevo, diceva il mio cuore ferito, in una replica tardiva. (…) Era l’affermazione della mia singolarità: desideravo trasformare in una realtà estetica un dono innato ancora inespresso e incomunicabile. Eppure la voce esperta e delusa era venuta a trafiggermi con la sua sfiducia. Se la vita non avesse confermato la mia scelta e non avesse promulgato la mia vocazione, a che sarebbe servito vivere?
Possiamo dire che la sua vita non solo è valsa pienamente la pena ma che ci ha arricchito con una delle più alte e intense opere letterarie di lingua portoghese.


Lêdo Ivo
(foto di Claudio Maccherani)


Lêdo Ivo esordisce nel 1944, con il libro As imaginações (Le immaginazioni), al quale seguirono altre ventidue raccolte poetiche. Oltre alla poesia, si è dedicato alla prosa e il suo primo romanzo, As alianças (Le alleanze), del 1947, conquistò subito importanti premi nazionali. Ha pubblicato altri quattro romanzi, raccolte di racconti, libri per l’infanzia, volumi di saggistica. Ha ricevuto numerosi e importanti premi e le sue opere di poesia e prosa sono tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda, Venezuela e Italia. Indicato per il Nobel, è stato membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere dal 1986 e nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell’anno in Brasile.
Di intelligenza vivace e poliedrica, è stato uno spirito inquieto e nomade. La sua passione per i viaggi sarà stata ereditata dagli ancestrali caetés, indios antropofagi del Brasile coloniale, quasi completamente estinti, il che lo portava a dire, fra l’ironico e il divertito, di essere l’ultimo antropofago del Brasile, per discendenza diretta, mentre Oswald de Andrade e gli altri modernisti, che avevano ideato un importante movimento culturale e letterario detto Movimento dell’Antropofagia, nel 1928, lo erano solo di carta o, meglio, solo per finta.
Di Lêdo Ivo bisogna dire subito che è un poeta controcorrente, in tutti i sensi. Originario di una terra più conosciuta per le belle spiagge, per il sole perenne, per il paesaggio esotico e tropicale, il suo universo è popolato da esseri e animali marginali e apparentemente sprovvisti di attrattiva e carisma. La poesia di Lêdo Ivo è pervasa da influssi della sua terra, soprattutto la sua Maceió, città portuale, capitale dello Stato di Alagoas, dove ha vissuto per molti anni e dove sembra ogni volta ritornare, alla ricerca delle immagini che lo hanno segnato. La luce intensa del Nordest delinea con nitore i contorni di esseri e cose, nel loro dolore e nella loro fragilità: navi dismesse nel porto, cimiteri marini, cani randagi, mendicanti, pazzi del manicomio cittadino, gabbiani, granchi, formiche, molluschi, angeli scrostati delle piccole chiese di periferia. È questo l’universo che pare interessarlo e non i luoghi alla moda invasi dai turisti. Non si cerchi dunque l’esotismo nella sua opera, essa piuttosto è uno specchio in cui ci possiamo riflettere e vedere le nostre stesse paure per il presente e per un futuro incerto e difficile. Lêdo Ivo è locale e universale, intimo e quotidiano ma allo stesso tempo la sua è una poesia senza tempo, che coglie l’essere in quel che ha di più intimo, fragile e duraturo.
Inquadrato dai critici come un tipico rappresentante della Generazione del ’45, non veniva preso dovutamente in considerazione dalle nuove generazioni, perché considerato un poeta legato ad un movimento formale e tradizionalista.2 Eppure la poesia di Lêdo Ivo è di una ricchezza di forme e contenuti che non ha uguale nel panorama nazionale brasiliano. Poeta torrenziale, che spesso dà la sensazione al lettore di scrivere come in trance, sempre toccato dalla grazia, mentre è vero che cura, con attenzione certosina di fino conoscitore della lirica di lingua portoghese, ogni verso della sua vasta opera. Intellettuale colto, leggeva nell’originale poeti italiani, inglesi, spagnoli, francesi e americani. Io stessa alimentavo la fame che aveva di poesia italiana, portandogli personalmente o mandandogli per posta libri di Ungaretti (che aveva conosciuto e frequentato), di Giorgio Caproni, Sandro Penna, Alda Merini e tanti altri che, nel tempo, lui mi ha sollecitato.
Alla moglie Lêda, compagna di una vita, scomparsa nel 2004, ha dedicato uno dei suoi più bei libri, Requiem, poesia elegiaca e stranamente limpida e luminosa che sembra quasi un suo addio ai luoghi e agli esseri che più ha amato:
      Aqui estou, à espera do silêncio.
      (...)
      Agora a noite desce para sempre.
      Meu olhar fatigado segue a canoa
      que se afasta dos manguezais.
      Uma luz na restinga. Um caranguejo na lama.
      E a vida se evapora como as almas
      no céu que não abriga nenhum deus.
      (...)
      A eternidade passa como o vento.
      Só o tempo é eterno. Sempre estive aqui
      no meio do meu povo dizimado,
      e minhas mãos armaram além das dunas
      a dourada fogueira antropofágica
      do assombroso festim. Uma noite de cinzas
      sucede agora ao clamor e à alegria.
      O mar apaga todos os naufrágios
      e todo fogo se extingue, todo fogo dourado
      se alastra e se apaga no silêncio do mundo.
      Sto qui, in attesa del silenzio.
      (…)
      Ora la notte scende per sempre.
      Il mio sguardo affaticato segue la canoa
      che si allontana dalle mangrovie.
      Una luce nei banchi di sabbia. Un granchio nel fango.
      E la vita evapora come le anime
      nel cielo che non ospita alcun dio.
      (…)
      L’eternità passa come il vento.
      Solo il tempo è eterno. Sono sempre stato qui
      in mezzo al mio popolo decimato,
      e le mie mani hanno armato oltre le dune
      il dorato falò antropofagico
      del prodigioso banchetto. Una notte di ceneri
      succede ora al clamore e alla gioia.
      Il mare cancella tutti i naufragi
      e ogni fuoco si estingue, ogni fuoco dorato
      si propaga e si spegne nel silenzio del mondo.3
L’edizione italiana di Requiem (Besa Editrice, Nardò, 2008), da me curata, è uscita nel 2008, in contemporanea a quella brasiliana e a quella messicana. Ricordo ancora l’emozione che ho provato nel leggerlo, dattiloscritto con la sua vecchia macchina da scrivere. In Italia, oltre a Requiem, è stata pubblicata l’antologia Illuminazioni (Multimedia Edizioni, Salerno, 2001), sempre da me tradotta e curata. Le due lunghe poesie che seguono sono tratte da Requiem.


Lêdo Ivo con Vera Lúcia de Oliveira
(foto di Claudio Maccherani)



1Lêdo Ivo, O vento do mar, org. por M. C. Figueiredo Mendes, Rio de Janeiro, Academia Brasileira de Letras e Contra Capa, 2011, p. 7.
2La Generazione del ’45 proponeva una sorta di neo-parnassianismo che, seppure anacronistico, era una risposta ai grandi sconvolgimenti della seconda guerra mondiale. I poeti sentivano il bisogno, infatti, per contrapporsi all’irrazionalismo in cui era caduto l’umanità, di riordinare razionalmente il mondo, trovando nelle forme metriche classiche, come il sonetto, grandemente utilizzato in quegli anni, il linguaggio più affine a quell’intento.
3Lêdo Ivo, Requiem, trad. e cura di V. L. de Oliveira, Besa Editrice e Dipartimento di lingue e Letterature Straniere, Università del Salento, 2008, pp. 22-25.



terça-feira, 8 de janeiro de 2013

Lêdo Ivo (2/2)

 Una nota que acompaña la publicación de  Rumor nocturno  define muy bien la manera en que esta poesía, tan terrenal, aspira continuamente a la trascendencia que es posible encontrar todos los días en las cosas, los seres, las personas , pues la combinación de elementos con los que trabaja, por decirlo así, sube y desciende, aletea y se cierne concisamente sobre lo observado que se filtra por las fibras de una visión que atesora instantes y sensaciones con un sabiduría “amasada” por el tiempo: “Lêdo Ivo es el atónito observador de los desmanes de la sociedad contemporánea, del sufrimiento de la naturaleza herida. Su poesía es un paisaje en el que la floresta resiste frente al avance de los yates abarrotados de banqueros, de las excavadoras, del desconcierto. Una poesía que sabe que en último término, pese a todo y con La Fontaine, todo el universo obedece al amor.  Una poesía a la vez carnal y espiritual que sabe que hay preguntas que no tienen respuesta, pero también que el secreto de la vida es aprender a convivir con ellas,  a ser nosotros mismos un equilibrio entre dos signos de interrogación”. [vii]  Prueba de ello son los poemas incluidos en  El salmo fugitivo  (2004, 2009), “Descubrimiento de lo inefable” (fragmento) y “Cristo en São Paulo”, además de otros dos que dejamos a la consideración de los amables lectores/as.

 DESCUBRIMIENTO DE LO INEFABLE 
Sin lo sublime ¿qué es el poeta? Sin lo inefable
¿cómo puede
alabar, si no trae para sí mismo,
la plena y extraña juventud de la joven a
quien ama?
¿Qué es el poeta, que imita las mareas,
sin adquirir con el tiempo una serenidad de
cosa siempre desnuda
como si las estrellas estuviesen caminando
gobernadas por su sonrisa
y sus brazos agitasen los árboles heridos por
la claridad de la luna?

Sin que su canto suba hasta los cielos,
sofocante música de la tierra,
¿qué es el poeta?
Soy libre cuando canto. Y quiero
que mi respiración oriente la voluntad de las
nubes
y mi amoroso pensamiento se mezcle al
horizonte.
Cantando quiero a octubre, quiero la lágrima
de sal
en el instante anterior al despertar: hoja
volando.

Sin lo inefable, que dura siempre sin permanecer
¿cómo conseguiré alabar a esa joven a quien
amo,
que nace en mi recuerdo plena como la noche
y triunfante como una rosa que durase
eternamente
no se limitase a la gloria de un día?
Sin lo inefable, que valoriza las manos y hace
volar el amor,
no podré descender de repente
al infierno de su cuerpo desnudo.

Lo sobrenatural todavía existe. Y no seremos
nosotros
los que alteraremos el indivisible orden de
las cosas
con nuestras manos que podrán quedar
inmóviles
en pleno amor, frente al cuerpo amado. […]

No es la mañana, depositando la simiente de
alegría en el corazón de los hombres.
No es la vida, cántico triunfal descendiendo
sobre las almas.
No es el poeta, subiendo por los andamios de
la carne del recuerdo de una mujer.
Son los ángeles que vinieron a vincularnos,
una vez más,
al orden eterno y a la anunciación.

No nos liberaremos jamás de esos ángeles
hechos de tierra y mar, creaturas celestes
que dejan caer en nosotros el sol de la
armonía.
Es inútil matar a los ángeles.
Ellos son invisibles y traicioneros.
De pronto, cuando nos sentimos seguros, ya
no somos
los consumidores de instantes, y estamos
entre el Día y la Noche, en el umbral
de una eternidad vigilada por ellos.

 CRISTO EN SÃO PAULO 
En la noche de Navidad
cuando las campanas tocaban
vi a Cristo caminando
en una calle de Sao Paulo.
Cuando nació
era ya nombre hecho,
traía desde su cuna
la soledad y la muerte.
El viento blanco y frío
susurraba en secreto:
“¡Qué breve es la vida
para los hombres y los dioses:
un suspiro de Cristo
exhalado en la oscuridad!”.
Cargando la cruz
Jesús iba solo
camino del Calvario.
Nadie lo acompañaba.
Luminoso rumor
de una noche de fiesta.
Jesús se estremecía.
¡Qué fría era la noche!
Y la boca del metro
en la neblina
devoraba sus pasos.

 LA META 
Juguemos fuera de nuestros cuerpos,
que se vuelven licenciosos.
Quedémonos sólo con nuestras almas,
entes abstractos y radiantes.

Guardemos apenas lo eterno,
lo demás es efímera escoria.
Aspiremos a lo absoluto.
El resto no vale la pena.

Los cuerpos que aman y desaman
y se enroscan, flexiblemente,
en el blanco universo de las camas,

son los embrujos sucesivos
de nuestras almas exigentes
que sólo aceptan el Paraíso.

 LA ETERNIDAD PREMEDITADA 
Esto será la eternidad:
un incesante subir escaleras.

Y siempre estarás al comienzo de la escalera
monumental
aunque todos los días sean peldaños.

Dios ¿por qué hiciste la eternidad?
¿Por qué nos obligas a subir tantas escaleras?


 Versiones de Maricela Terán 


 [vii] http://vasorotoediciones.blogspot.mx/2009/12/ledo-ivo-rumor-nocturno.html .  Énfasis agregado.

segunda-feira, 7 de janeiro de 2013

Lêdo Ivo (1/2)


Domingo 06 DE ENERO
SUPLEMENTO DOMINICAL DE PROTESTANTE DIGITAL


  • 2  

    Lêdo Ivo: poesía terrenal, aspiración de trascendencia

    Lêdo Ivo: poesía terrenal, aspiración de trascendencia
     Ivo defendía un modelo de poesía comprometida con el individuo y la sociedad. Algún crítico se refirió a él como ‘el poeta indignado’, aunque él eligió calificarse como ‘poeta municipal’. 
    05 DE ENERO DE 2013

     Y después moriré: no me amen o me desprecien de más, pero guarden mi nombre y búsquenme en los versos tal como soy exactamente: unido a todos, rebelde, inconsecuente, confuso y lírico. L.I., “Canto de la imaginaria ventana abierta” , (versión de Carlos Montemayor)

    El 23 de diciembre falleció en Sevilla el poeta brasileño Lêdo Ivo, uno de los más importantes del panorama lírico de su país y autor de una dilatada obra. Se encontraba en España, junto con algunos miembros de su familia, como parte de un “viaje sentimental”. Su hijo Gonçalo se expresó así: “Él sabía que el fin estaba próximo y quería ver a algunos amigos en Madrid como Juan Carlos Mestre y Martín López-Vega. También quería pisar las tierras de Góngora y de Quevedo; siempre tuvo una gran ligazón con España” […] “Ayer estuvo en la Catedral varias horas: estaba feliz y contento. Quedó deslumbrado con el Alcázar y, al pasear por sus jardines, exclamó: ‘¡Entonces existe el paraíso; esto es el paraíso!’”. [i]

     La nota citada agrega: “El poeta y periodista, nacido en la ciudad nororiental de Maceió en 1924, no quería ‘una muerte carnavalizada, ni una muerte episcopal, sino una muerte sencilla y franciscana’, según su hijo. Ivo defendía un modelo de poesía comprometida con el individuo y la sociedad. Algún crítico se refirió a él como ‘el poeta indignado’, aunque él eligió calificarse como ‘poeta municipal’. ‘Los poetas estamos para dar voz y música al que no la tiene’, dijo en una entrevista concedida a Efe en octubre de 2011”. […] “En 1944, Ivo se dio a conocer en todo Brasil con la publicación de un poemario,  As imaginações , y su obra está traducida al inglés, español, francés e italiano, entre otras lenguas. Poseedor de un fuerte temperamento, el autor de  Ninho de cobras ' y  A noite misteriosa  era amante de la literatura española y destacaba a los autores del Siglo de Oro y la generación del 27, pero tenía especial predilección por Antonio Machado, ya que, a su juicio, su obra permitía estar más cerca de los hombres”.

    Premio Leteo en 2011, [ii]  se han publicado en España las antologías  La moneda perdida  (traducción de Amador Palacios, Olifante, 1990) y  La aldea de sal  (traducción de Guadalupe Grande y Juan Carlos Mestre, Calambur, 2009) ,  y los poemarios  Rumor nocturno  (traducción de Martín Luis Vega, Vaso Roto, 2009) y  Plenilunio  (mismo traductor, Vaso Roto, 2010). “Desde muy joven se dijo atraído por las letras españolas y devoró la obra de Gonzalo de Berceo, Lope de Vega, García Lorca, Alberti y Machado, por quien tenía una especial predilección. Según su hijo, ‘era consciente de que la muerte le acechaba, pero no quiso marcharse sin pisar por última vez la tierra de Góngora y Quevedo’”. [iii]

     En México, adonde estuvo en varias ocasiones y en donde se le homenajeó en el Encuentro de Poetas del Mundo Latino de 2008, han aparecido algunos de sus libros, como  Réquiem  (Alforja, 2008) y algunas antologías:  La imaginaria ventana abierta  (traducción de Carlos Montemayor, 1980),  Las islas inacabadas (traducción de Maricela Terán, Universidad Autónoma Metropolitana, 1985) y otra realizada por Héctor Carreto (UNAM, 1988). [iv]  El poeta mexicano Mario Bojórquez elaboró otra más:  Estación final (Antología de poemas 1940-2011),  publicada en Colombia y España (Granada, Valparaíso).

    Eduardo Langagne lo incluyó en el reciente  Todos los ritmos. Siete poetas del Brasil , donde se refiere a él así:

     Es uno de los más activos y representativos poetas del movimiento Geração 45 que tuvo una reacción estética contra la primera fase modernista. […] Seis décadas de poesía son mucho más que un dato cronológico. Por si fuera poco, el poeta ha estado en constante renovación y participando creativamente en las discusiones sobre el ser y el hacer de la materia poética; ha considerado a la búsqueda y a la experimentación fundamentales para la creación poética, porque juzga que sin ellas la literatura y la poesía no se renovarían. […] Se suman medio siglo, una década y casi un lustro de hurgar paciente y meticulosamente en los recovecos de la palabra y volar junto con ella a los espacios posibles e imposibles. En “Justificación del poeta”, poema de ese primer libro suyo, el poeta termina con una declaración sugestiva: “Soy un plebiscito. Soy una revolución”. Predecesores suyos como el connotado Murilo Méndes lo elogiaron por la intensidad de su perspectiva poética, apostando a su expresión futura; si bien con una cierta prudencia conveniente a la temprana edad del poeta, Murilo escribió: “irá lejos, tal es mi vaticinio […] exalto en este joven compañero su imaginación, su audacia, su fuerza de ataque, su gusto por la violenta oposición de lo cotidiano a lo sobrenatural”. [v]

     En el prólogo de  Las islas inacabadas,  Ivo habla de la poesía con una claridad meridiana, afirmando el misterio de la escritura y de la reescritura que lleva a cabo cada lector/a:

     Cada poema tiene su historia, es un fragmento de una existencia secreta, un astillazo de biografía del poeta, aunque el amante de versos deba ser alertado sobre la evidencia de que, sea atravesando la claridad del día o los misterios de la noche, el poeta es el portador de una sinceridad siempre ungida por la mentira inherente a la creación poética. La poesía es la voz o lenguaje del otro: un lenguaje personal e intransferible dentro del sistema poético que representa la culminación estética de los numerosos lenguajes tribales y triviales que forman la lengua de una nación. Y ese lenguaje diferente es una máscara, un escondrijo, una metáfora, un decir siempre otra cosa.

     Así, un poema es al mismo tiempo verdad y mentira, rigor y desmesura, contención y efusión, carencia y exuberancia, magia y pesadilla, razón y sinrazón. Es un sí y un no, y aún un plácido tal vez. Es mito y realidad. Posee uno e incontables sentidos. Artefacto verbal, completo en sí mismo, viviendo y respirando el ritmo de su integridad y concreción, y aún el de sus abstracciones, gracias a un feliz agenciarse de sonidos y signos, de palabras tornadas imágenes y de imágenes tornadas palabras, de rimas y contrarrimas de métricas y contramétricas, el poema puede, con todo, ser recreado y hasta dañado por cualquier lector, que lee en él lo que desea leer, y lo reescribe mentalmente a su voluntad, como si fuese un dichoso suplente de creador o un ayudante de mentiroso. […]

    Bojórquez, a su vez, lo ve como el mayor poeta actual de lengua portuguesa y como un autor dotado de enormes recursos:

    En la poesía de Lêdo Ivo, escribir es un acto de registro de las impresiones del mundo pero también es una exploración de lo que no se conoce, de lo que se intuye por medio de las relaciones inexplicables entre sucesos y objetos que aparentemente no tienen una relación causal ni de coexistencia. La escritura entonces se convierte en el catalizador de estas irregulares convergencias de la memoria y de la imaginación. Escribir se vuelve un ensayar el mundo, un palpar en las sombras de la incomprensión hasta llegar a un territorio que nos ofrece seguridad en medio del riesgo. [vi] 



       [ii] Verónica Viñas, “El poeta ‘indignado’ Ledo Ivo recibirá el Premio Leteo en León”, en  Diario de León , 14 de octubre de 2011,  www.diariodeleon.es/noticias/cultura/el-poeta-indignado-rsquo-ledo-ivo-recibira-premio-leteo-en-leon_638965.html .  Cf. Rosa Álvarez, “Lêdo Ivo recibe el Premio Leteo por ser un poeta ‘coherente’ y ‘comprometido’”, en  Mundo, 25 de noviembre de 2011,  www.elmundo.es/elmundo/2011/11/25/leon/1322235514.html.

       [iii] Francho Barón , “Lêdo Ivo, el poeta de lo cotidiano y lo contemporáneo”, en  El País,  23 de diciembre de 2012, http://cultura.elpais.com/cultura/2012/12/23/actualidad/1356301255_530638.html.

       [iv] Lêdo Ivo.  Sel. trad. y nota de H. Carreto. México, UNAM, 1988 (Material de lectura,, poesía moderna, 136),  www.materialdelectura.unam.mx/index.php?option=com_content&task=view&id=284&Itemid=1.

       [v] E. Langagne,  Todos los ritmos: siete poetas del Brasil.  Puebla, Consejo Estatal para la Cultura y las artes-Círculo de Poesía-Conaculta, 2012, pp. 18-19.

       [vi] M. Bojórquez, “Ninguna lengua es la patria. La poesía de Lêdo Ivo”, en  El Tiempo , Bogotá ,  26 de abril de 2012,  www.eltiempo.com/cultura/libros/ARTICULO-WEB-NEW_NOTA_INTERIOR-11664593.html .

sexta-feira, 4 de janeiro de 2013

Lêdo Ivo (1924-2012)




Brasília, 4 de janeiro de 2013

Lêdo viajou aos 88 anos...

Dias de luto ?
Sinto que jamais serão suficientes...

Acho que Deus estava precisando 
de mais um amigo para ouvi-lo !!!

Lembro das inúmeras conversas, 
todas inesquecíveis !!!

Eu falava um lugar e ele contava algo sobre os autores, 
os livros que tinha lido, de quais gostava mais...  
e seguia conversando... 

Em Latim  se diz :
" Tempus Fugit !!! "

E fico me questionando...

Lêdo Fugit ?

Mai !!!

Sinto que ele nos espera ali na próxima esquina...

 Com aquele generoso sorriso de sempre !!!







quinta-feira, 15 de dezembro de 2011

Lêdo Ivo: "Hace 400 años que Brasil es un país emergente"



(Castilla y León) LITERATURA-LIBROS | > AREA:
25-11-2011 / 18:00 h
Javier de Miguel
León, 25 nov (EFE).- El escritor brasileño Lêdo Ivo reclama una poesía "más humana" con la que reafirmar al individuo en el mundo globalizado, donde las librerías son "las mismas" en Tokio, en Madrid y en Nueva York y en el que se habla de Brasil como un país emergente, algo que lleva siendo así, dice, desde hace 400 años.
En una entrevista con Efe, Ivo (Maceió, Brasil, 1924) defiende, ante la "uniformidad" que proponen los nuevos tiempos, un modelo de poesía comprometido con el individuo y la sociedad y que, a lo largo de su trayectoria, ha estado marcado por "la tierra", "la selva", "el sentimiento de la cuna" y "el origen".
Ese compromiso, por el que algunos han hablado de él como "el poeta indignado", es uno de los motivos por los que ha sido distinguido con el premio Leteo 2011, galardón que recoge en León y que en sus doce ediciones ha reconocido a escritores como Paul Auster, Martin Amis, Michel Houellebecq, Amélie Nothomb, Fernando Arrabal y Antonio Gamoneda.
El haber sido reconocido por el jurado como un "poeta internacional" no deja de sorprender a Ivo, que se define a sí mismo como un "poeta municipal", y que nunca pensó que este premio pudiera recaer en un escritor nacido en los "suburbios de occidente".
Ivo, quien se pregunta por "la posición del poeta moderno en el mundo moderno", comenta que está en contra de aquellos autores que sienten nostalgia de épocas anteriores y las añoran como si se trataran de "paraísos perdidos".
Por ello se aleja de la poesía pura y de la "metapoesía", preconcebidas para que solo las lea la "inmensa minoría", y trata a través de sus versos de "celebrar el universo", hablar de "la vida cotidiana", de la condición humana y de "la impureza de la vida".
"La poesía está muy elevada, muy disociada de los hombres. Y tal vez por ello la gente se aparta de ella", prosigue Ivo, quien subraya que el poeta moderno debería profundizar en el "mundo de hoy" y en sus experiencias personales, en lugar de dedicarse a "hacer poemas sobre la creación poética".
Para Ivo, es "fundamental" la lección que dan en este sentido los escritores españoles del Siglo de Oro, como Francisco de Quevedo y Luis de Góngora, que se insultaban a través de los versos y que si recibían un cesto de naranjas, lo agradecían después con un poema. "Eso, sí era muy real", celebra.
A este respecto, también prefiere oír hablar de los olmos secos y de los perros hambrientos que refería en su obra Antonio Machado a la metafísica y la pureza de los textos de Juan Ramón Jiménez.
"Con Machado estás más cerca de los hombres, de la vida. Esa es una lección más importante que las que daba Juan Ramón Jiménez sobre el amor, a pesar de que él no fuera un ejemplo de marido", zanja.
Otro de los problemas que menciona tiene que ver con la "especie de clandestinidad" mediática y social en la que vive el poeta, cuya audiencia, salvo excepciones como la de Pablo Neruda -apunta-, se limita a las pequeñas ediciones de 500 o 1.000 ejemplares, los premios literarios, los festivales de poesía y algunos blogs en internet.
Y respecto a la poesía en las nuevas tecnologías y soportes, Ivo es claro: "Un poema en un libro reclama atención. Pero un poema en el ordenador se lee y desaparece. Acaba convirtiéndose en una cosa efímera; en un relámpago". EFE

sábado, 3 de dezembro de 2011

PREMIO LETEO A LEDO IVO




El poeta Lèdo Ivo recibe el Premio Leteo de manos de Rafael Saravia ante la mirada atenta de Juan Carlos Mestre. norberto
verónica viñas | león 26/11/2011
Lèdo Ivo se convertía anoche en el undécimo escritor premiado por el Club Leteo. El veterano poeta brasileño de 87 años se suma así a una selecta nómina de galardonados entre los que están Auster, Gamoneda, Amis, Nothomb, Houellebecq o Fernando Arrabal. Ivo, con una finísima ironía, atribuyó a los periodistas decenas de ‘etiquetas’ que le han colgado a lo largo de su vida, como ser un «poeta indio que lee a Paul Valéry» o un «antropófago». La buena entrada que registró la sala de la Obra Social rompió el «maleficio» de autor minoritario que suele pender sobre los poetas.
El escritor había leído en un periódico la concesión del Premio Leteo a Paul Auster. En aquel momento pensó que Brasil, un país miserable y periférico, jamás lo recibiría. Sin embargo, desde hacía décadas Lèdo Ivo estaba en la mesilla de noche de muchos escritores leoneses. En parte, como reconoció el presidente de Leteo, el poeta Rafael Saravia, la concesión del premio a Ivo, «un poeta que ha conseguido todo lo que un poeta digno puede lograr», es un «homenaje» también a Antonio Pereira, que «descubrió» al escritor brasileño, se lo recomendó a Juan Carlos Mestre y éste, a su vez, a Saravia. «Un poeta viejo, sin el apoyo de los poetas jóvenes, no es nada», añadió Ivo. Por su parte, Gamoneda era también admirador del autor del autor de La aldea de sal. «Pereira siempre quiso traerle a León». Ayer, finalmente, es escritor brasileño pisaba esta ciudad. Treinta años antes su hijo, invitado por Pereira, había estado en esta tierra, «donde vio por primera vez la nieve», contó ayer Ivo, que conocía León «por ser la patria de Pereira y Gamoneda».
Saravia agradeció a la Fundación Monteleón que patrocine el premio, que pese a carecer de dotación económica ha conseguido traer a León a los mejores escritores del mundo. «No es cierto que no tenga dotación», puntualizó Ivo, «a mi me han pagado el viaje y el hospedaje»… «Los poetas no pensamos en la retribución económica», aclaró, ya que la mayoría están acostumbrados a tiradas de apenas 2.000 ejemplares de sus obras. «Los poetas somos como los banqueros», ironizó Ivo. Saravia dejó claro que el apoyo de Monteleón a Leteo ha sido «incondicional», lo cual es especialmente valioso «en estos momentos de presión y represión». «Podemos elegir libremente al autor premiado». Saravia no ocultó que ha habido autores premiados más «mediáticos» que Ivo, un poeta muy valorado en los círculos más intelectuales. Ivo dijo que jamás habría imaginado tener el mismo premio que Auster o Gamoneda. «Soy un poeta municipal, no internacional», afirmó sin falsa humildad. Reconoció que el premio tal vez obedecía a que su obra se había publicado en España en los últimos años, gracias a la traducción de Mestre. Hoy, precisamente Mestre, junto a Gamoneda, la viuda de Pereira, el editor de Calambur, que ha publicado a Lèdo Ivo, mantendrán un coloquio junto al poeta brasileño, a las doce del mediodía en la Obra Social de Caja España.
El poeta comprometido. Ivo, al que se ha llamado ‘poeta indignado’, reconoció que «todas son épocas de crisis» y que «es saludable que las personas sean críticas». «Yo cuando era joven sentía que había un futuro enfrente. Las personas, con sus méritos, podían ocupar su lugar en el mundo. Hoy, los jóvenes salen de las universidades y no tienen empleo, no tienen futuro. Mi poesía está marcada por la vida y las circunstancias sociales de un país con miserias como Brasil. A diario nacen miles de niños en las favelas. La poesía debe también hablar de los problemas sociales. En la poesía hay muchas moradas», confesó.
En este punto, Saravia reconoció que en parte habían buscado un escritor comprometido. Afirmó que la poesía no es sólo una creación, «es la memoria del mundo». Sin la obra de Quevedo, Cervantes, Góngora o Garcilaso sus mundos habrían desaparecido. «Sin la literatura, el hombre no sabría nada de sí mismo». No es Lédo Ivo un escritor propenso a dar recetas a los que se inician en la literatura. Su único consejo: «Que aprendan alemán para leer a Rilke en su lengua original» y «que dejen de ser jóvenes poetas para ser clásicos y así entrar en la tradición poética de su país». Porque, «no todos permanecen».
¿Qué le queda por escribir a un poeta de 87 años? Ivo dijo que le gustaría decir algo que no ha dicho, «pero no sé qué es». «Soy un poeta incompleto».
En un mundo globalizado dijo que no se puede generalizar sobre el lugar que ahora ocupan las personas mayores y que no creía en la transmisión de las experiencias personales.
De Ledo Ivo se ha escrito que se sentía heredero de la tradición de los antropófagos que en su país se comieron al primer obispo de Brasil. Ciertamente, reconoció que descendía de aquella tribu india por parte materna. Este acontecimiento tuvo tal repercusión en Europa, que el Papa de la época excomulgó a los indios y a todos sus descendientes. «No soy una excepción, sigo excomulgado…». También aclaró que en Brasil hubo un movimiento antropofágico de poetas cosmopolitas. Para satirizarlos, Ivo se declaró, apelando a sus antepasados, como el único poeta antropófago.
«Hay mucha leyenda en torno a los poetas y los periodistas son los principales responsables…», concluyó.
El poeta brasileño, tras recibir la escultura de Amancio González que le acredita como ganador del Premio Leteo, leyó algunos poemas y Juan Carlos Mestre los tradujo al castellano. Luego se sometió a las preguntas del público.

domingo, 7 de agosto de 2011

Lêdo Ivo aos académicos !!!



Leia a seguir a íntegra da carta enviada por Lêdo Ivo aos acadêmicos:
“Sr. Presidente,
Senhoras Acadêmicas,
Senhores Acadêmicos,
Nesta Academia, como em todas as corporações que se regem pelas normas da civilização, da boa educação, da polidez e da conviviabilidade, o silêncio do auditório, durante a fala de um dos seus integrantes, é um princípio pétreo.
Esse princípio, Sr. Presidente, foi vulnerado quinta-feira última, quando eu estava falando sobre Gonçalves de Magalhães.
Durante 25 minutos, este auditório ouviu, ininterruptamente, ganidos, gemidos, vagidos, coaxos, grasnidos, uivos, ladridos, miados, pipilos e arrulhos intoleráveis, senão obscenos, de um macilento boquirroto ostensivamente deliberado a tisnar e perturbar a minha exposição.
Momentos antes, Sr. Presidente, V. Exa. exarava o seu zelo por esta Casa versando sobre a quilometragem exorbitante de um dos táxis que servem aos acadêmicos do plenário e que, em seu alto juízo, golpeava as burras fartas desta Academia, a mais rica do mundo.
Esse zelo, que é louvável, ou extremamente louvável, se cingiu na sessão de 5. feira última, a um inquietante item monetário, e não voltou a florescer quando um dos mais antigos integrantes desta Casa discorria sobre Gonçalves de Magalhães.
Entendo que era dever inarredável de V. Exa. impor então ao auditório o silêncio de praxe, exercendo plenamente a sua Presidência.
Esse entendimento, aliás, não é só meu — mas ainda o de outros companheiros que, finda a sessão, e ao longo da semana, estranharam a omissão, leniência ou tolerância de V. Exa.
Houve até companheiros que me externaram a opinião de que eu deveria ter suspendido a minha palestra, já que ela fluía num ambiente toldado pela enxurrada de grasnidos a que já aludi.
E não posso nem devo esconder que outros confrades, apreciadores das soluções surpreendentes ou belicosas que quebram a monotonia da vida e das instituições me interpelaram, surpresos, desejosos de saber onde estava a minha alagoanidade, que não se manifestara.
A todos esses companheiros fiéis à tradição de urbanidade e conviviabilidade desta Academia, onde estou há 25 anos, expliquei o ter lido o meu texto até o fim.
Deus, em sua infinita generosidade, assegurou-me, aos 87 anos, o timbre de voz de minha juventude.
Não pertenço à raça dos velhos trôpegos que, com voz de falsete, emitem arrulhos indecorosos em ocasiões em que a decência reclama o ritual do silêncio.
Mas a razão decisiva que me levou a não suspender a minha palestra é outra. Além de ter mantido em mim a voz de minha juventude, Deus me aquinhoou com o sentimento da misericórdia –que é a compaixão suscitada pela miséria alheia– e da piedade, que é dó e comiseração.
Confesso, Sr. Presidente, que me confrange o coração assistir ao penoso espetáculo dos que, alcançada a velhice, ostentam em seu trajeto os sinais indeléveis e quase póstumos da decadência física, mental e moral aceleradas, e mesmo amparados por bengalas astutas rastejam nos salões, corredores e auditórios tão lastimosamente, com os olhos mortiços fixados no chão, como se temessem resvalar em uma cova aberta.
Há velhos que não sabem envelhecer e, desprovidos da alegria e do amor à vida, e do emblema do convívio, destilam ódio, inveja e despeito, porejam calúnias e intrigas, bebem o fel do ostracismo e da obscuridade.
Há velhos que procuram enganar-se a si mesmos, pintando os cabelos, embora as florejantes e fartas cabeleiras antigas já tenham sido devastadas pela sabedoria ou impiedade dos tempo, que as converte em insidiosas relíquias capilares.
Esses velhos enganosos e enganados, o padre Manuel Bernardes os estampilha de “tintureiros de si mesmo”.
No episódio em pauta, o uso imoderado dessa tintura, ou pintura, para esconder o inescondível e disfarçar o indisfarçável, casa-se com a boquirrotice provocadora.
Mas, tintureiro de si mesmo e boquirroto, esse personagem bizarro merece e reclama, de nossa parte, não um ato agressivo ou belicoso, ou alagoano, mas a muda expressão dessa piedade e dessa misericórdia que devem habitar sempre os nossos corações.
Encerro esta palestra com um verso de Lucrécio: “É doce envelhecer de alma honesta”.
Deus guarde V. Exa. Senhor Presidente, e os demais integrantes desta Casa.
Tenho dito.”


 MEU COMENTÁRIO :
Admiro o Poeta Ledo Ivo,
Ad-miro o Acadêmico Eduardo Portella,
Aprendemos que a educação nos é ensinada, mas com o passar do tempo as vezes esquecida...
Devemos ter sempre em mente que a evolução do ser humano foi feita quando se conseguia ouvir o outro...
Em contrapartida a humanidade  pouco entendeu o outro, fez do atropelamento Intelectual uma forma de dirigir errado e um padrão de conduta equivocado !!!
Apesar de séculos e séculos parece que ainda continuamos nesta teimosia ...
Afinal quando aprenderemos a ouvir o outro ?
Como Eterno Aprendiz do Direito...
Lembro que é fundamental ouvir o outro..
e talvez para que isso se processe da melhor maneira possível..
As vezes  é preciso muito mais que apenas uma relação de amizade com o silencio !!! 
É preciso uma relação de Amor para com o próximo !!!