Eccoci qua. Allora, siamo già al ritorno di questo viaggio breve ma intensissimo. Noi siamo ammirati dei due discorsi lunghi e impegnativi che Lei ha fatto; ha già detto un sacco di cose. Però i giornalisti hanno sempre ancora qualche domanda da fare. Noi ne abbiamo preparate cinque: Lei veda se vuole rispondere a tutte e cinque. Allora, abbiamo due francesi – visto che siamo in Francia, in un certo senso – e diamo subito la parola a Renaud Bernard che è della France Télévision:
(Renaud Bernard)
Sua Santità, buona sera. Sono lieto di fare questa domanda a nome dei giornalisti francesi. Questa mattina, davanti al Parlamento Europeo, Lei ha tenuto un discorso con parole pastorali ma con parole che si possono sentire come parole politiche, e che si possono accostare – secondo me – a un sentimento socialdemocratico. Posso prendere un esempio breve, quando Lei dice che si deve evitare che la forza reale espressiva dei popoli sia rimossa davanti ai poteri multinazionali. Possiamo dire che Lei potrebbe essere un Papa socialdemocratico?
(Papa Francesco)
Caro, questo è un riduzionismo! Io lì mi sento in una collezione di insetti: “Questo è un insetto socialdemocratico…”. No, io direi di no: non so se è un Papa socialdemocratico o no… Io non oso qualificarmi di una o di un’altra parte. Io oso dire che questo viene dal Vangelo: questo è il messaggio del Vangelo, assunto dalla Dottrina sociale della Chiesa. Io in questo, in concreto, e in altre cose – sociali o politiche – che ho detto, non mi sono staccato dalla Dottrina sociale della Chiesa. La Dottrina sociale della Chiesa viene dal Vangelo e dalla tradizione cristiana. Questo che ho detto – l’identità dei popoli – è un valore evangelico, no? In questo senso lo dico. Ma mi hai fatto ridere, grazie!
(Padre Lombardi)
Grazie mille a Lei, Santità. E adesso diamo la parola a Jean-Marie Guénois, di “Le Figaro”, anche lui per i francesi:
(Jean-Marie Guénois)
Santità, quasi nessuno questa mattina nelle strade di Strasburgo. La gente si diceva delusa. Lei si pente di non essere andato alla cattedrale di Strasburgo, che festeggiava quest’anno il millenario? E quando farà il Suo primo viaggio in Francia, e dove? Forse a Lisieux?
(Papa Francesco)
No, non è programmato ancora, ma si deve andare a Parigi certamente, no? Poi, c’è una proposta di andare a Lourdes… Io ho chiesto una città dove non sia andato mai alcun Papa, per salutare quei cittadini. Ma il piano non è stato fatto. No, per Strasburgo, si è pensata la cosa, ma andare alla cattedrale sarebbe stato già fare una visita in Francia, e questo è stato il problema.
(Padre Lombardi)
In ogni caso, il Vescovo di Strasburgo dice che ha regalato al Papa due bellissimi volumi sulla cattedrale, che così Lei potrà studiare e vedere personalmente.
Allora, adesso diamo la parola a Giacomo Galeazzi de “La Stampa” che rappresenta un po’ i giornalisti italiani presenti sul volo:
(Giacomo Galeazzi)
Santità, buona sera. Mi aveva colpito nel discorso al Consiglio d’Europa il concetto di trasversalità, che Lei ha richiamato, e in particolare ha fatto riferimento agli incontri che Lei ha avuto con giovani politici dei diversi Paesi, e ha appunto parlato anche della necessità di una sorta di patto tra le generazioni, di un accordo intergenerazionale a margine di questa trasversalità. Poi, se mi consente, una curiosità personale: è vero che Lei è devoto di San Giuseppe?
(Papa Francesco)
… ma sì!
(Giacomo Galeazzi)
… e che nella sua stanza ha una statua?
(Papa Francesco)
Sì! Sempre, quando ho chiesto una cosa a san Giuseppe, me l’ha data.
Il fatto della “trasversalità” è importante. Io ho visto nei dialoghi con i giovani politici, in Vaticano, soprattutto di diversi partiti e nazioni, che loro parlano con una musica diversa che è tendente alla trasversalità: è un valore! Loro non hanno paura di uscire dalla propria appartenenza, senza negarla, ma uscire per dialogare. E sono coraggiosi! Credo che questo dobbiamo imitarlo; e anche il dialogo intergenerazionale. Questo uscire per trovare persone di altre appartenenze e dialogare: l’Europa ha bisogno di questo, oggi.
(Padre Lombardi)
Adesso diamo la parola a Alonso Martínez Javier Maria, che se non sbaglio è anche il primo viaggio internazionale che fa. Rappresenta gli spagnoli e gli diamo questo onore di fare una domanda al Papa:
(Alonso Martínez Javier Maria)
Buona sera, Santità. Questa è una domanda da parte dei giornalisti spagnoli, che sono interessati. Nel suo secondo discorso, quello al Consiglio d’Europa, Lei ha parlato dei peccati dei figli della Chiesa. Vorrei sapere come ha ricevuto le notizie su questa vicenda di Granada, che Lei in qualche modo ha portato alla luce…
(Papa Francesco)
Io l’ho ricevuta inviata a me, ho letto, ho chiamato la persona e ho detto: “Tu domani vai dal vescovo”; e ho scritto al vescovo di incominciare il lavoro, di fare l’indagine e di andare avanti. Come l’ho ricevuta? Con grande dolore, con grandissimo dolore. Ma la verità è la verità, e non dobbiamo nasconderla.
(Padre Lombardi)
Allora, un’ultima domanda la fa Andreas Englisch, a nome dei giornalisti degli altri gruppi linguistici.
(Andreas Englisch)
Santità, ho l’onore di fare la domanda per il gruppo dei giornalisti internazionali. Lei ha parlato spesso, nei discorsi adesso a Strasburgo, sia della minaccia terroristica sia della minaccia della schiavitù: questi sono atteggiamenti tipici anche dello Stato islamico, che minaccia gran parte del Mediterraneo, minacciano pure Roma e anche Lei, nella Sua persona. Lei crede che anche con questi estremisti si possa avere un dialogo, o Lei crede che questo sia una cosa persa?
(Papa Francesco)
Io mai do per persa una cosa, mai. Forse non si può avere un dialogo, ma mai chiudere una porta. E’ difficile, puoi dire ‘quasi impossibile’, ma la porta sempre aperta. Lei ha usato due volte la parola ‘minaccia’: è vero, il terrorismo è una realtà che minaccia… Ma la schiavitù è una realtà inserita nel tessuto sociale di oggi, ma da tempo! Il lavoro schiavo, la tratta delle persone, il commercio dei bambini… è un dramma! Non chiudiamo gli occhi davanti a questo! La schiavitù, oggi, è una realtà, lo sfruttamento delle persone… E poi c’è la minaccia di questi terroristi. Ma anche un’altra minaccia, ed è il terrorismo di Stato. Quando le cose salgono, salgono, salgono e ogni Stato per conto suo si sente di avere il diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti. E questa è un’anarchia di alto livello che è molto pericolosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripeto quello che ho detto nel viaggio precedente: quando si deve fermare l’aggressore ingiusto, si deve fare con il consenso internazionale.
(Padre Lombardi)
Allora, c’era ancora una domanda, un’ultima:
(Caroline Pigozzi)
Santità, buongiorno. Volevo sapere se Lei quando viaggia a Strasburgo viaggia, nel suo cuore, come Successore di Pietro, come Vescovo di Roma, o come arcivescovo di Buenos Aires…
(Papa Francesco)
Caroline è molto acuta… Non so, davvero non so. Mah… viaggio, credo, con tutte e tre le cose, perché mai mi sono posto questa domanda. Lei mi obbliga a pensare un po’!
(Caroline Pigozzi)
E’ una domanda da donna…
(Papa Francesco)
No, ma davvero… La memoria è di arcivescovo di Buenos Aires, ma questo non c’è più. Adesso sono Vescovo di Roma e Successore di Pietro, e credo che viaggio con quella memoria ma con questa realtà: viaggio con queste cose. Per me, l’Europa, in questo momento, mi preoccupa; è bene per aiutare che io vada avanti, e questo come Vescovo di Roma e Successore di Pietro: lì sono romano.
Grazie tante del vostro lavoro! E’ stata davvero una giornata forte. Grazie, grazie tante. Non dimenticate di pregare per me. Grazie.
(Padre Lombardi)
Grazie a Lei, Santità, per avere trovato anche questo tempo per stare con noi dopo questa mattinata così piena.
Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti, Onorevoli Eurodeputati, Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo, Cari amici,
vi ringrazio per l'invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell'Unione Europea e per l'opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell'Assemblea.
La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l'Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia»[1].
Accanto a un'Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno "eurocentrico". A un'Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l'immagine di un'Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest'oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa - insieme a tutto il mondo - sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell'Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell'uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: "dignità" e "trascendente".
La “dignità” è una parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si contraddistingue per l'indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell'importanza dei diritti umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente»[2], dando luogo proprio al concetto di “persona”.
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell'impegno dell'Unione Europea in ordine a favorire la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali - sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [3]. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell'uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato [4]; soprattutto significa guardare all'uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell'Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un'impressione generale di stanchezza, d'invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.
A ciò si associano alcuni stili di vita un po' egoisti, caratterizzati da un'opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico [5]. L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l'assolutizzazione della tecnica»[6], che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi»[7]. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità [8].
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un'Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un'immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l'alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un'immagine che ben descrive l'Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l'apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un'Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello "spirito umanistico" che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un'apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l'hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell'Unione Europea. Parimenti sono convinto che un'Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e lepotenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l'oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza»[9].
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.
Il motto dell'Unione Europea è Unità nella diversità, ma l'unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l'Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
D'altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un'autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti. Occorre ricordare sempre l'architettura propria dell'Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l'aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza [10].
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all'Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell'educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D'altra parte, sottolineare l'importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c'è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L'educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell'Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell'ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»[11]. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d'altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L'assenza di un sostegno reciproco all'interno dell'Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.
Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a far parte dell'Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell'area balcanica per i quali l'ingresso nell'Unione Europea potrà rispondere all'ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva»[12], vi esorto [perciò] a lavorare perché l'Europa riscopra la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l'anima è nel corpo»[13]. Il compito dell'anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l'Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l'Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l'umanità!
Signor Segretario Generale, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori,
sono lieto di poter prendere la parola in questo Consesso che vede radunata una rappresentanza significativa dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, i Rappresentanti dei Paesi Membri, i Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come pure le diverse Istituzioni che compongono il Consiglio d'Europa. Di fatto quasi tutta l'Europa è presente in quest'aula, con i suoi popoli, le sue lingue, le sue espressioni culturali e religiose, che costituiscono la ricchezza di questo continente. Sono particolarmente grato al Signor Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Signor Thorbjørn Jagland, per il cortese invito e per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Saluto poi la Signora Anne Brasseur, Presidente dell'Assemblea Parlamentare. Tutti ringrazio di cuore per l'impegno che profondete e il contributo che offrite alla pace in Europa, attraverso la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto.
Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65° anniversario, rispondeva ad una tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente fin dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le spinte particolariste, connotate dal susseguirsi di diverse volontà egemoniche. Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a Londra il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruento e lacerante conflitto che queste terre ricordino, le cui divisioni sono continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire, deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d'Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana.
D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere. Si tratta di un processo continuo, che non può mai essere dato per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva assoluta vigilanza. Erano consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento di prendere possesso degli spazi, cristallizzare i processi che vanno avanti e cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti.
In tal modo affermavano la volontà di camminare maturando nel tempo, perché è proprio il tempo che governa gli spazi, li illumina, li trasforma in una catena di continua crescita, senza vie di ritorno. Perciò costruire la pace richiede di privilegiare le azioni che generano dinamismi nuovi nella società e coinvolgono altre persone e altri gruppi che li svilupperanno, fino a che portino frutto in importanti avvenimenti storici [1].
Per questa ragione diedero vita a questo Organismo stabile. Il beato Paolo VI, alcuni anni dopo, ebbe a ricordare che «le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace»[2]. Occorre un costante cammino di umanizzazione, così che «non basta contenere le guerre, sospendere le lotte, (...) non basta una Pace imposta, una Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere a una Pace amata, libera, fraterna, fondata cioè sulla riconciliazione degli animi»[3]. Vale a dire portare avanti i processi senza ansietà ma certo con convinzioni chiare e con tenacia.
Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato, dev'essere assunto. Ma se rimaniamo bloccati in esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella situazione conflittuale perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà [4], fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili.
Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita. Lo è in tante parti del mondo, dove imperversano conflitti di vario genere. Lo è anche qui in Europa, dove non cessano tensioni. Quanto dolore e quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo! È perciò importante e incoraggiante l'opera del Consiglio d'Europa nella ricerca di una soluzione politica alle crisi in atto.
La pace però è provata anche da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. La Chiesa considera che «la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri»[5]. La pace è violata anche dal traffico degli esseri umani, che è la nuova schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di scambio, privando le vittime di ogni dignità. Non di rado notiamo poi come tali fenomeni siano legati tra loro. Il Consiglio d'Europa, attraverso i suoi Comitati e i Gruppi di Esperti, svolge un ruolo importante e significativo nel combattere tali forme di disumanità.
Tuttavia, la pace non è la semplice assenza di guerre, di conflitti, di tensioni. Nella visione cristiana essa è, nello stesso tempo, dono di Dio e frutto dell'azione libera e razionale dell'uomo che intende perseguire il bene comune nella verità e nell'amore. «Questo ordine razionale e morale poggia precisamente sulla decisione della coscienza degli esseri umani di un'armonia nei loro rapporti reciproci, nel rispetto della giustizia per tutti»[6].
Come dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della pace?
La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto quella della promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale studio è uno dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero.
In questa sede sento perciò il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell'umanità. Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra [7]. In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine.
Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Ma l'innalzarsi del pensiero, della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia.
D'altra parte - osserva Rebora - «il tronco s'inabissa ov'è più vero»[8]. Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile[9].
Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale.
Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, perché recide di fatto quelle feconde radici su cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco. E così oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e energia di un tempo. Un'Europa un po' stanca, pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono da altri continenti.
All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?
Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente. D'altra parte - per tornare all'immagine di Rebora - un tronco senza radici può continuare ad avere un'apparenza vitale, ma al suo interno si svuota e muore. L'Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio umano, artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all'umanità intera. Nella risposta a tale interrogativo, il Consiglio d'Europa con le sue istituzioni ha un ruolo di primaria importanza.
Penso particolarmente al ruolo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che costituisce in qualche modo la "coscienza" dell'Europa nel rispetto dei diritti umani. Il mio auspicio è che tale coscienza maturi sempre più, non per un mero consenso tra le parti, ma come frutto della tensione verso quelle radici profonde, che costituiscono le fondamenta sulle quali hanno scelto di edificare i Padri fondatori dell'Europa contemporanea.
Insieme alle radici - che occorre cercare, trovare e mantenere vive con l'esercizio quotidiano della memoria, poiché costituiscono il patrimonio genetico dell'Europa- ci sono le sfide attuali del continente che ci obbligano a una creatività continua, perché queste radici siano feconde nell'oggi e si proiettino verso utopie del futuro. Mi permetto di menzionarne solo due: la sfida della multipolarità e la sfida della trasversalità.
La storia dell'Europa può portarci a concepirla ingenuamente come una bipolarità, o al più una tripolarità (pensiamo all'antica concezione: Roma - Bisanzio - Mosca), e dentro questo schema, frutto di riduzionismi geopolitici egemonici, muoverci nell'interpretazione del presente e nella proiezione verso l'utopia del futuro.
Oggi le cose non stanno così e possiamo legittimamente parlare di un'Europa multipolare. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono quanto quelle che disgregano - si verificano tra molteplici poli culturali, religiosi e politici. L'Europa oggi affronta la sfida di "globalizzare" ma in modo originale questa multipolarità. Non necessariamente le culture si identificano con i Paesi: alcuni di questi hanno diverse culture e alcune culture si esprimono in diversi Paesi. Lo stesso accade con le espressioni politiche, religiose e associative.
Globalizzare in modo originale – sottolineo questo: in modo originale – la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva, libera da egemonie che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e religiosa dei popoli.
Parlare della multipolarità europea significa parlare di popoli che nascono, crescono e si proiettano verso il futuro. Il compito di globalizzare la multipolarità dell'Europa non lo possiamo immaginare con la figura della sfera - in cui tutto è uguale e ordinato, ma che risulta riduttiva poiché ogni punto è equidistante dal centro -, ma piuttosto con quella del poliedro, dove l'unità armonica del tutto conserva la particolarità di ciascuna delle parti. Oggi l'Europa è multipolare nelle sue relazioni e tensioni; non si può né pensare né costruire l'Europa senza assumere a fondo questa realtà multipolare.
L'altra sfida che vorrei menzionare è la trasversalità. Parto da un'esperienza personale: negli incontri con i politici di diversi Paesi d'Europa ho potuto notare che i politici giovani affrontano la realtà da una prospettiva diversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse dicono cose apparentemente simili ma l’approccio è diverso. Le parole sono simili, ma la musica è diversa. Questo si verifica nei giovani politici dei diversi partiti. Tale dato empirico indica una realtà dell'Europa odierna da cui non si può prescindere nel cammino del consolidamento continentale e della sua proiezione futura: tenere conto di questa trasversalità che si riscontra in tutti i campi. Ciò non si può fare senza ricorrere al dialogo, anche inter-generazionale. Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo parlare di un'Europa dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al servizio dei popoli armonicamente uniti.
Assumere questo cammino di comunicazione trasversale comporta non solo empatia generazionale bensì metodologia storica di crescita. Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che "contengono" la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità.
In tale prospettiva accolgo con favore la volontà del Consiglio d'Europa di investire nel dialogo inter-culturale, compresa la sua dimensione religiosa, attraverso gli Incontri sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Si tratta di un'occasione proficua per uno scambio aperto, rispettoso e arricchente tra persone e gruppi di diversa origine, tradizione etnica, linguistica e religiosa, in uno spirito di comprensione e rispetto reciproco.
Tali incontri sembrano particolarmente importanti nell'attuale ambiente multiculturale,[ multipolare, alla ricerca di un proprio volto per coniugare con sapienza l'identità europea formatasi nei secoli con le istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente.
In tale logica va compreso l'apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell'ambito di una corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L'intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione "ridotta", che non rende onore all'uomo.
Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa cattolica - particolarmente attraverso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) - può collaborare con il Consiglio d'Europa e dare un contributo fondamentale. Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi, l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la vostra Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai temi legati alla tutela della vita umana, questioni delicate che necessitano di essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di tutto l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o giuridici.]
Parimenti sono numerose le sfide del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall'accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell'essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di persone. Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti livelli di disoccupazione giovanile che si riscontrano in molti Paesi - una vera ipoteca per il futuro - ma anche per la questione della dignità del lavoro.
Auspico vivamente che si instauri una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca che tanto ha segnato il volto dell'Europa grazie all'opera generosa di centinaia di uomini, donne - alcuni dei quali la Chiesa cattolica considera santi - i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati per sviluppare il continente, tanto attraverso l'attività imprenditoriale che con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro.
Infine, tra i temi che chiedono la nostra riflessione e la nostra collaborazione c'è la difesa dell'ambiente, di questa nostra amata Terra che è la grande risorsa che Dio ci ha dato e che è a nostra disposizione non per essere deturpata, sfruttata e avvilita, ma perché, godendo della sua immensa bellezza, possiamo vivere con dignità.
Signor Segretario, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori,
Il beato Paolo VI definì la Chiesa «esperta in umanità»[10]. Nel mondo, a imitazione di Cristo, essa, malgrado i peccati dei suoi figli, non cerca altro che servire e rendere testimonianza alla verità [11]. Null'altro fuorché questo spirito ci guida nel sostenere il cammino dell'umanità.
Con tale disposizione d'animo la Santa Sede intende continuare la propria collaborazione con il Consiglio d'Europa, che riveste oggi un ruolo fondamentale nel forgiare la mentalità delle future generazioni di europei. Si tratta di compiere assieme una riflessione a tutto campo, affinché si instauri una sorta di "nuova agorà", nella quale ogni istanza civile e religiosa possa liberamente confrontarsi con le altre, pur nella separazione degli ambiti e nella diversità delle posizioni, animata esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene comune. La cultura, infatti, nasce sempre dall'incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l'attuazione del bene, questo è bellezza. Il mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e la profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi quella giovinezza dello spirito che l'ha resa feconda e grande.
[7] «Vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo; / spasima l'aria in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero: / dal tronco in rami per fronde si esprime/ tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del mistero, / e il tronco s'inabissa ov'è più vero»: Il pioppo in: Canti dell'Infermità, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 1957, 32.
Carlos do Carmo tornou-se o primeiro português a ganhar um Grammy e logo numa das categorias mais consideradas, o "Lifetime Achievement", entregue apenas aos artistas pelo conjunto da obra que produziram ao longo da sua carreira e não devido ao êxito que lograram com determinada canção ou álbum.
O fadista português foi ontem informado pelo próprio presidente da Latin Recording Academy, Gabriel Abaroa Jr., que havia vencido o Grammy, tornando-se assim no primeiro português a conquistar um galardão que também já foi entregue a Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Elvis Presley, Miles Davis, Bob Dylan, Billie Holiday, James Brown, Tom Jobim, David Bowie, Leonard Cohen, Johnny Cash ou, já este ano, Kraftwerk, Ney Matogrosso e Los Lobos.
O Grammy é considerado o maior e mais prestigiado prémio da indústria discográfica, estando previsto que o troféu seja entregue a Carlos do Carmo no próximo dia 19 de novembro deste ano, no Hollywood Theater da MGM, em Las Vegas, Estados Unidos da América. Nesse mesmo mês estreará em Portugal um filme documental sobre a vida e a obra de Carlos do Carmo realizado por Ivan Dias.