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sexta-feira, 27 de novembro de 2009

GIORGIO DE CHIRICO



Particolare della copertina del volume "Giorgio De Chirico. Le città del silenzio: architettura, memoria, profezia", di Vincenzo Trione (Skira)
Particolare della copertina del volume "Giorgio De Chirico. Le città del silenzio: architettura, memoria, profezia", di Vincenzo Trione (Skira)
Sono quadri notissimi quelli del de Chirico dei primi del Novecento fra “manichini”e architetture silenti e scarnificate, fra piazze deserte e inquiete; queste opere sono state così codificate fino ad imbalsamarle sia dai critici d’arte sia da architetti progettisti di quartieri alla maniera degli skyline dechirichiani. Il libro di Vincenzo Trione, docente di Storie e progetto dell’arte contemporanea a Napoli, autore di Giorgio de Chirico-Le Città del silenzio: architettura, memoria, profezia, appena uscito per le edizioni Skira, vuole destabilizzare questo de Chirico museificato e far sgorgare dalle opere del Pictor Optimus, cosi si autodefiniva, la forza di un classico e non la sua elevazione marmorea su un piedistallo.Panorama.it ha incontrato l’autore del volume.
Paul Valéry in un suo fulmineo aforisma afferma “il pittore non deve dipingere quel che vede, ma ciò che sarà visto”. È per questo che le architetture dipinte da de Chirico nei suoi quadri più noti del periodo metafisico sono state viste come i prototipi profetici di città future?
Intere periferie vennero create à la 
manière metafisica sul modello di quelle città dechirichiane silenziose e scarnificate. Giorgio de Chirico è stato un autore fecondissimo per gli architetti: da Libera, Terragni, Piacentini e Gio Ponti, dall’eccentrico architetto messicano Barragán, fino ad Aldo Rossi e Massimiliano Fuksas. Ma molte di queste progettazioni sono state spesso un fallimento, una semplice ripetizione ossessiva di moduli, fra bucature di archi e colonne congelate e piazze desertificate prive di magia e sortilegi: penso ad esempio al quartiere Fontivegge di Perugia, progetti che non hanno saputo far propria la lingua dell’avanguardia. E de Chirico, che non avrebbe mai amato la trasmigrazione delle sue architetture nella moderna attività progettuale, è diventato un marchio che giustifica questi scacchi architettonici.
Perché questa lunga devozione allo studio di de Chirico?
Con questo libro chiudo una trilogia su di lui, da 
Atlanti metafisici, alla mostra Il Secolo di Giorgio de Chirico all’Institut d’Art Modern a Valencia (che Trione ha diretto, ndr). Giorgio de Chirico è il mio autore di riferimento, la mia è stata una convivenza critica, non una lettura imbrigliata nelle gabbie di interpretazioni anacronistiche. Occorre combattere il limitato filologismo e sociologismo di certi critici. C’è necessità di costruire nuovi sistemi di avvicinamento, dove architettura e narrativa, letteratura e grafica interagiscano in piena vitalità. Ho ritrovato avvicinamenti più illuminanti a de Chirico in scrittori come Goffredo Parise o James Graham Ballard, che cinematizza la pittura di de Chirico, rendendocelo estremamente vivo e vicino. E perfino in un fumetto di Sebastiano Vilella appena uscito, Interno Metafisico con biscotti, che riprende quello di un’opera del de Chirico anni Sessanta, quando l’artista “rifaceva” ironicamente le sue opere metafisiche. Vilella va sulle tracce del Pictor Optimus e di un investigatore privato che lo segue incuriosito da una diceria. Da Ferrara a Parigi agli incontri con Apollinaire tutto il fumetto è studiato su fonti di archivio, ma Vilella ci dà un de Chirico fuori da qualsiasi teca e lo porta fino a noi.

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